Immagina di svegliarti in un’enorme stanza bianca.
Luce fredda, silenzio irreale, decine di sconosciuti intorno a te.
Siete tutti vestiti allo stesso modo. Nessuno parla.
Poi si apre una porta.
Io entro. Ma non sono una concorrente.
Sono la guardia.
Il mio volto è nascosto dalla maschera nera.
Il mio corpo, no.
Ogni mio passo è calcolato. Ogni suono dei miei tacchi è una minaccia.
Ma non uso armi. Non alzo la voce.
Il mio potere è più sottile.
Cammino tra voi.
Tutti avete ricevuto l’istruzione: “Non guardare in basso.”
Non potete distogliere lo sguardo dal mio volto coperto,
anche se il desiderio… spinge altrove.
Qualcuno cede. Sempre.
Li vedo. Gli occhi scendono lentamente, quasi senza volerlo.
Scivolano sulle mie caviglie scoperte, indugiano sul movimento ritmico dei tacchi.
Un secondo di troppo… ed è la fine.
«Fuori.»
La mia voce è calma, ma definitiva.
La tensione cresce.
Più cammino, più la tentazione si fa forte.
Perché i giochi non sono sempre fatti di forza.
A volte sono fatti di autocontrollo.
Qualcuno prova a resistere.
Chiude gli occhi.
Ma sbaglia.
«Chi chiude gli occhi… ha già perso.»
Anche questo è nel regolamento.
Il suono dei miei passi diventa un metronomo crudele.
Tic… tac…
Ogni passo è un invito.
Ogni curva disegnata dalla camminata è un inganno.
Mi fermo davanti a te.
Non ti muovi.
Le pupille si contraggono, il respiro si fa sottile.
“Non guardare. Non guardare. Non guardare.”
Lo ripeti a te stesso come un mantra.
E io?
Sposto appena il peso da un piede all’altro.
Un piccolo gesto.
Apparentemente innocuo.
Ma tu… lo percepisci.
Lo senti.
Come un profumo che ti sfiora i sensi, senza toccarti.
Poi parlo.
«Hai passato la prova.»
Ti concedo un sorriso — il premio più raro.
E riprendo a camminare, lasciando dietro di me i pensieri confusi di chi ha visto troppo… o troppo poco.
Il gioco è finito.
O forse… sta per iniziare davvero.
E tu? Avresti avuto il coraggio di guardare altrove?